Chiassosi, imprevedibili, ingovernabili, irriducibili, petulanti, profeti Radicali
di GIANNI RIOTTA
Chiassosi, imprevedibili,
ingovernabili, irriducibili, petulanti, profeti, mosche cocchiere,
grilli parlanti: riecco i radicali. Il congresso che riconduce la
formazione di Marco Pannella, Emma Bonino e Daniele Capezzone dagli
anni del fiancheggiamento del centrodestra al nuovo soggetto con i
socialisti e all’alveo del centrosinistra, libera fermenti interessanti
nel grigiore della politica italiana. Non si tratta di condividere, in
tutto o in parte, le campagne, le crociate o le ossessioni degli uomini
e delle donne con la rosa nel pugno.
Tanti italiani stentano a sintonizzarsi nel rumore di fondo delle loro
perenni mobilitazioni, ricordando spiacevolmente echi grotteschi di
gesti plateali e superflui. E’ però salutare rimettere in circolo idee
concrete, scelte reali, dibattiti vividi al posto del solito ruminare
da talk show. Un sì o un no al mercato e ai servizi moderni, un sì o un
no alla circolare Bolkestein per sveltire l’economia, un sì o un no
alla ricerca scientifica, un sì o un no alla tradizione laica. Comunque
vi schieriate su questi cruciali temi, l’enzima radicale vi spinge a
riflettere, decidere, agire. E sarà salutare per l’Unione del
centrosinistra, intenta ad una lunga campagna elettorale e ad
un’urgente meditazione di programma, accogliere al proprio interno
queste sollecitazioni, che disinfettano dai virus della burocrazia ed
eliminano i batteri della pigrizia intellettuale. Così, mentre il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si produceva nel goffo giro
di valzer sulla guerra in Iraq, cercando insieme la benedizione di Bush
e la riappacificazione con la base neutralista in Italia, è la Bonino a
porre all’Unione la questione morale del «che fare a Bagdad?». Forte
dell’esperienza umanitaria, dalla Commissione europea all’Afghanistan,
dal Sudan alla battaglia democratica in Egitto, la Bonino ricorda di
essere stata contraria all’attacco al regime di Saddam Hussein, ma
chiede in mano a chi si lascerebbe quel tormentato Paese se la
coalizione, italiani inclusi, si ritirasse all’unisono. Fu questa la
scelta del premier spagnolo Zapatero; è questo il sentimento che un
libro parigino attribuisce al premier francese de Villepin,
«preoccupato» che la vittoria Usa «renda ridicola la Francia». Ma il
ritiro generalizzato, secondo la Bonino, consegnerebbe l’Iraq «ai
tagliatori di teste e alla guerra civile». Non è vero che Washington
tifi per la rielezione di Berlusconi: certo chiederà - con apprensione
di restare ancor più isolata - all’eventuale governo di Romano Prodi
come intenda onorare gli impegni dell’Italia nel peacekeeping in Iraq.
Che l’Unione ieri parlasse di «ritiro unilaterale» e oggi di un più
raziocinante «calendario» di rotazione delle truppe è segnale nella
direzione opportuna. Volta a volta, le forze del centrosinistra si
sentiranno alleate o nemiche dei radicali. I cattolici dissentiranno su
genetica e rapporti con il Vaticano, temi apprezzati invece da
socialisti e comunisti, ma si ritroveranno su aiuti all’Africa e ai
Paesi poveri. I riformisti dei Ds concorderanno sulle posizioni
atlantiche e sulle riforme economiche, la sinistra pacifista troverà le
scelte su Bagdad e Kabul nefaste, ma l’impegno per i diritti delle
donne musulmane riporterà i suoi consensi. Ben venga questo aperto
confronto su autentiche questioni, grazie a chi sa anteporre valori,
anche controcorrente, all’ubiquità dell’opportunismo. © Corriere.it griotta@corriere.it
Chiassosi, imprevedibili,
ingovernabili, irriducibili, petulanti, profeti, mosche cocchiere,
grilli parlanti: riecco i radicali. Il congresso che riconduce la
formazione di Marco Pannella, Emma Bonino e Daniele Capezzone dagli
anni del fiancheggiamento del centrodestra al nuovo soggetto con i
socialisti e all’alveo del centrosinistra, libera fermenti interessanti
nel grigiore della politica italiana. Non si tratta di condividere, in
tutto o in parte, le campagne, le crociate o le ossessioni degli uomini
e delle donne con la rosa nel pugno.
Tanti italiani stentano a sintonizzarsi nel rumore di fondo delle loro
perenni mobilitazioni, ricordando spiacevolmente echi grotteschi di
gesti plateali e superflui. E’ però salutare rimettere in circolo idee
concrete, scelte reali, dibattiti vividi al posto del solito ruminare
da talk show. Un sì o un no al mercato e ai servizi moderni, un sì o un
no alla circolare Bolkestein per sveltire l’economia, un sì o un no
alla ricerca scientifica, un sì o un no alla tradizione laica. Comunque
vi schieriate su questi cruciali temi, l’enzima radicale vi spinge a
riflettere, decidere, agire. E sarà salutare per l’Unione del
centrosinistra, intenta ad una lunga campagna elettorale e ad
un’urgente meditazione di programma, accogliere al proprio interno
queste sollecitazioni, che disinfettano dai virus della burocrazia ed
eliminano i batteri della pigrizia intellettuale. Così, mentre il
presidente del Consiglio Silvio Berlusconi si produceva nel goffo giro
di valzer sulla guerra in Iraq, cercando insieme la benedizione di Bush
e la riappacificazione con la base neutralista in Italia, è la Bonino a
porre all’Unione la questione morale del «che fare a Bagdad?». Forte
dell’esperienza umanitaria, dalla Commissione europea all’Afghanistan,
dal Sudan alla battaglia democratica in Egitto, la Bonino ricorda di
essere stata contraria all’attacco al regime di Saddam Hussein, ma
chiede in mano a chi si lascerebbe quel tormentato Paese se la
coalizione, italiani inclusi, si ritirasse all’unisono. Fu questa la
scelta del premier spagnolo Zapatero; è questo il sentimento che un
libro parigino attribuisce al premier francese de Villepin,
«preoccupato» che la vittoria Usa «renda ridicola la Francia». Ma il
ritiro generalizzato, secondo la Bonino, consegnerebbe l’Iraq «ai
tagliatori di teste e alla guerra civile». Non è vero che Washington
tifi per la rielezione di Berlusconi: certo chiederà - con apprensione
di restare ancor più isolata - all’eventuale governo di Romano Prodi
come intenda onorare gli impegni dell’Italia nel peacekeeping in Iraq.
Che l’Unione ieri parlasse di «ritiro unilaterale» e oggi di un più
raziocinante «calendario» di rotazione delle truppe è segnale nella
direzione opportuna. Volta a volta, le forze del centrosinistra si
sentiranno alleate o nemiche dei radicali. I cattolici dissentiranno su
genetica e rapporti con il Vaticano, temi apprezzati invece da
socialisti e comunisti, ma si ritroveranno su aiuti all’Africa e ai
Paesi poveri. I riformisti dei Ds concorderanno sulle posizioni
atlantiche e sulle riforme economiche, la sinistra pacifista troverà le
scelte su Bagdad e Kabul nefaste, ma l’impegno per i diritti delle
donne musulmane riporterà i suoi consensi. Ben venga questo aperto
confronto su autentiche questioni, grazie a chi sa anteporre valori,
anche controcorrente, all’ubiquità dell’opportunismo. © Corriere.it griotta@corriere.it
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